La porta dello studio si apre con un pulsante accanto al citofono. Per non si sa quale difetto a volte il congegno non scatta e il più vicino di noi va ad aprire, modello maggiordomo. Oggi a passare davanti alla porta al momento dello scampanellio c’era la nostra G. con la sua bella divisa blu e bianca, con la cuffietta e la mascherina, smoking eyes e abbronzatura equatoriale. Si è ritrovata davanti A., 6 anni, che l’ha guardata sgranando gli occhi, ha urlato terrorizzata ed è scoppiata a piangere. Per un attimo ho pensato che scoppiasse in un pianto disperato anche la nostra G., tanto le si leggeva in faccia la mortificazione di aver spaventato la bimba.
Il rapporto con i bambini è fatto di piccoli equilibri, basta un piccolo dettaglio per far franare quella che sembra la più solida motivazione. Mi metto seduta accanto a A., le parlo sorridendo e lei mi racconta che ha fatto i vaccini e che il dottore le ha detto “non ti faccio nulla” e invece poi l’ha punta (che traditore!) e per questo ora ha tanta paura. La rassicuro, non ho alcuna intenzione di pungerla e lei si fa convincere a mostrarmi i dentini, non prima di affermare “Però LEI non la voglio”.
G. ci sta guardando da lontanissimo con una faccia avvilita che vien voglia di abbracciarla.
“Per ora andiamo solo noi due, va bene?”
Entrambe mi fanno energicamente di sì con la testa.
A. mi segue, si fa visitare, portandosi dietro un bambolotto che ha bisogno anche lui del dentista. Giochiamo e lei si rilassa. È l’ultimo appuntamento della giornata, G. ha tolto la divisa e si affaccia alla porta vestita normalmente, la invito ad entrare. Lei si rivolge ad A.: “Scusa se ti ho spaventato, è la prima volta che mi succede”.
Poi il miracolo, di quelli che sanno fare i bambini, accoglienti ed empatici: A. salta giù dalla poltrona e corre ad abbracciarla.
Rimangono un attimo, così strette, sorridendo.
Ben fatto: “Siamo una squadra fortissimi”!